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Yoga nidra e malati oncologici: essere presenti infonde coraggio.

intervista a Sabrina Provasoli

Le applicazioni a cui si prestano yoga e meditazione sono molteplici, proprio per la loro natura intrinseca di “metodo” piuttosto che di pratica fine a sé stessa. Un metodo ideato e affinato nel tempo, nato grazie alla ricerca e all’applicazione di asceti indiani (dall’800 a.e.v. circa) determinati a capire ciò che sta all’origine della sofferenza in cui nasce e vive l’essere umano e a trovare una soluzione al continuo errare.

Quello che più mi affascina di queste discipline è proprio questa capacità di essere “metodo”, di mettere in contatto e di far convergere su un unico sentiero mondi tra loro distanti. Persone che non lo cercano consapevolmente, ma che lo scoprono spinte da una condizione di necessità, che sia la donna durante la gravidanza, il detenuto in carcere, un musicista che deve gestire la paura del palcoscenico, o un malato oncologico, ecco, questa possibilità di poter condividere il gioiello prezioso dello yoga che ha attraversato il tempo e lo spazio, è fonte inesauribile di scoperta e di crescita per chi lo pratica – e per chi lo trasmette.

È cosi che ho intervistato Sabrina Provasoli di Gallarate, insegnante yoga e socia YANI, per dare risonanza alla sua esperienza con i malati oncologici ai quali propone ogni settimana una sessione di yoga nidra.

Dal 2022 Sabrina fa parte del gruppo di volontari che attraverso il progetto “Il dono della presenza” offre servizi completamente gratuiti pensati per pazienti oncologici. Gli ideatori del progetto sono Sibilla Vecchiarino, insegnante di yoga, e suo marito Massimo Mannarelli, e la spinta motrice è quella di voler accompagnare il cammino arduo dei malati oncologici e dei loro famigliari.

Un dono, nel vero senso della parola che non ha neppure avuto bisogno di prendere una forma giuridica come quella dell’associazione: non ci sono regole scritte, statuti e altre strutture burocratiche a cui rispondere, ma esiste solo un accordo verbale e una volontà comune: voler donare.

Com’è nata questa collaborazione?
Sono stata coinvolta nel progetto da Sibilla sin dall’inizio. A oggi siamo una quarantina di volontari che offrono svariati corsi: attività di movimento come lo yoga dolce, rilassamenti guidati, uncinetto, acquarelli, qi-gong, emotional freedom technique, conferenze e incontri tenuti da medici, oncologi, nutrizionisti. E ancora: corsi di cucina e alimentazione, momenti di condivisione dove confrontarsi su dubbi, tipi di cure, e altro ancora.
Circa quaranta lezioni a settimana, da lunedì a domenica, dalle 9.00 alle 21.00. Anche il 31 dicembre e il primo dell’anno ci sono stati degli incontri. Sibilla ci tiene molto che queste persone non vengano lasciate sole.

Sabrina, tu cosa porti in questo progetto?
Il mercoledì sera, alle 18.30, da ormai tre anni, propongo ogni settimana una pratica di yoga nidra. Il mio corso, come tutti quelli del progetto, si svolge online, per far sì che le persone possano accedervi senza ostacoli. Che siano in ospedale attaccati alla flebo, o nella propria abitazione, o in viaggio, i pazienti e i loro cari possono collegarsi e condividere un momento che per loro vedo ha una grande importanza: quello di non essere lasciati soli nella malattia. Trovo molto bello che il progetto si rivolga anche ai famigliari, spesso dimenticati nella gestione delle proprie emozioni, della quotidianità, dei figli quando ci sono, con carichi pesanti sulle spalle. Inoltre tutto il materiale è registrato, sempre a disposizione sulla piattaforma che utilizziamo.

Cos’è e come si svolge lo yoga nidra?
Lo yoga nidra è una tra le pratiche più richieste, è molto apprezzata. Siamo in tre a proporlo. Si tratta di una tecnica di rilassamento profondo tanto potente quanto semplice e adatta a tutti, capace di far emergere l’inconscio e di portare ad uno stato di raccoglimento i cui benefici sono immediatamente esperibili per tutti.
Si entra nella pratica gradualmente, si prende consapevolezza del respiro, da una percezione rivolta principalmente verso l’esterno li conduco verso l’interno, per arrivare quindi all’immobilità. Ribadisco sempre di ascoltarsi: non posso pretendere che stiano immobili se hanno male da qualche parte. Si tratta di aprire un dialogo con il proprio corpo e quindi con il proprio sé.
Viene chiesto loro di pensare a un desiderio, ciò che in sanscrito si chiama sankalpa, con intenzione, sincerità e consapevolezza: è un importante vettore che dà speranza e presenza. Infonde coraggio.
Quindi passiamo alla rotazione della coscienza lungo tutto il corpo. Ci sono tanti aspetti di cui tenere conto: le visualizzazioni, i conteggi dei respiri, il sanklapa… Tutto ciò li porta in uno stato di grande concentrazione e di ascolto.

Non deve essere facile stare nel proprio corpo quando si ha un tumore.
Sono donne coraggiosissime, trattandosi soprattutto di malate di tumore al seno. Non ho mai sentito nessuno lamentarsi. Si affidano e quando hai fiducia tutto diventa più semplice e stai bene. Mai nessuno ha interrotto la pratica. Anzi, dispiace quando si arriva alla conclusione e bisogna ritornare al quotidiano. Una donna una volta mi ha detto che è uscita prima dal lavoro per poter partecipare al nostro incontro. Mi ha anche detto: “voglio vedere le cose in maniera positiva. Sono malata è vero, ma ho voglia di prendermi cura di me, di fare cose che mi fanno stare bene.”
Quando riusciamo a calmare la mente, i pesi che portiamo si alleggeriscono. L’individualità lascia spazio a qualcosa di più grande che ci fa stare bene. Sentiamo finalmente di far parte di un tutto.

Quante persone usufruiscono di questi servizi? Hanno già avuto modo di praticare yoga o meditazione in precedenza?
Sono tanti. Ci sono 1250 persone. Devo dire che l’età è sempre più bassa, arrivano sempre più giovani.
Di solito non hanno esperienza pregressa nello yoga. Quando tutto va bene, quando ci troviamo in quella che crediamo sia la normalità, magari non ci fermiamo a riflettere su certi aspetti e la crescita personale non sembra riguardarci. Poi con l’arrivo della malattia, arriva anche un bisogno improvviso di consapevolezza, di presenza, tanti nodi vengono al pettine. E lo yoga sicuramente aiuta a sviluppare una forte presenza in tutto questo navigare che è la vita.

Cosa succede a fine pratica?
Se ci sono domande, ci si ferma a fine lezione, ma è più facile che prendano contatto in chat anche nei giorni a seguire. Tanti non si fanno vedere in video e io non ci penso neanche a chiedere di accendere la telecamera. Ci sono delle volte che sono stanca, dopo magari qualche giornata di lavoro pesante, avrei voglia anche di stare in silenzio, ma poi mi ricredo ogni volta. Mi sento fortunata.
In realtà sono più io a ricevere un dono da loro perché vedere il loro coraggio mi è da esempio.

il calendario delle attività

Il dono della presenza:
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www.instagram.com/il_dono_della_presenza/

Bhrāmarin prānāyāma. Stimolare il nervo vago per abbassare lo stato di stress. 

Scivola, scivola vai via. Non te ne andare. 
Scivola, scivola vai via, via da me. 
Così canta Vinicio Capossela, gettandoci con la sua musica nell’atmosfera di una notte tenebrosa, fatta di fisarmonica, alcool e amore clandestino. 

Sarebbe bello che anche lo stress, così come arriva, scivolasse poi via, via da noi. Se lo stress si presentasse giusto il tempo di fare ciò che dobbiamo, per farci agire al meglio, al momento più opportuno, e poi si dileguasse senza lasciare traccia, sarebbe perfetto.

Peccato che però così non è. Lo stress quando è frequente, diventa un compagno fedele che non va via anche quando non c’è più bisogno di lui. Ci è accanto quando siamo placidi a letto, in attesa di prendere sonno, o ancora peggio ci sveglia nel cuore della notte senza darci più pace.

Perdere il sonno è seriamente dannoso, sia a breve termine ma anche a lungo termine creando terreno fertile per le malattie degenerative del cervello. 
Uno stato permanente di stress crea uno stato infiammatorio costante generando usura degli organi; influisce sulla digestione, sul senso di fame creando disequilibrio tra inappetenza e fame nervosa. Intacca le nostre relazioni, rendendoci suscettibili a reazioni eccessive o ad apatia. Ci strema con una stanchezza profonda difficile da contrastare e alla quale non riusciamo a reagire. 

I tempi in cui viviamo sono affollati, gremiti di azione e caotici.
Non c’è più una vera e propria distinzione tra tempo di lavoro e tempo libero, il diventare smart ci ha ingabbiati, tra iper-connessione, eccesso di informazioni, bulimia di immagini. Anche le relazioni spostandosi sul piano virtuale diventano faticose, oltre che deprimenti perché basate sull’esibizione di falso benessere.

Tutto ciò che è fuori da noi sembra così bello, perfetto, acclamato e a confronto la nostra realtà ci appare come sbiadita e poco interessante. Non di successo.
Siamo sempre sotto processo giudicante del grande fratello e del nostro ego. Persino le discipline come lo yoga, la meditazione, il tai ki kung sono passate da pratiche introspettive, intime e di scoperta di sé, a show patinati e narcisistici. 
Impossibile sfuggire allo stress.

Tra le tecniche di rilassamento di cui disponiamo nello yoga, vi voglio parlare di una in particolare, ovvero Bhrāmarin prānāyāma, il prānāyāma dell’ape. 

Questa tecnica di respirazione si pratica nel seguente modo: 
La postura

  • Seduti su un supporto (cuscino, mattoncino, tappetino arrotolato) a gambe leggermente divaricate e flesse;
  • piante dei piedi al suolo, ginocchia orientate al soffitto;
  • la colonna ben allungata ed eretta. Se si fa fatica a tenere la schiena dritta, ci si pò appoggiare ad una parete;
  • Gomiti appoggiati sulle ginocchia, 
  • indici appoggiati sul tappo delle orecchie in modo da premere leggermente e chiudere il condotto uditivo per creare un isolamento sonoro. 

Svolgimento 

Occhi chiusi, si inspira rapidamente, si espira lentamente dal naso, le labbra morbide che si sfiorano, senza stringere i denti, producendo un suono simile al ronzio dell’ape, piuttosto grave e non acuto. Il ronzio prodotto si propaga nel cranio, nel viso, nella gola, per tutta la durata dell’espirazione. 
Si attende qualche istante, quindi si inspira e di nuovo espirando si produce il ronzio dell’ape con le orecchie chiuse. 
Praticare per minimo 10 minuti. 

esempio audio di un espirazione sonora, simulando il ronzio dell’ape

Una volta terminato, sdraiati in śavāsana (supina/o), occhi chiusi, e assapora ciò che emerge da quanto appena fatto. Non distrarti, rimani nell’osservazione delle sensazioni e del respiro. 

Le vibrazioni che si producono nella gola, nelle corde vocali e nel cranio hanno un effetto concreto sull’attivazione del nervo vago. 

Il nervo vago è il  più grande nervo del sistema nervoso autonomo parasimpatico. Il sistema nervoso centrale è formato dal sistema simpatico – agonista – e il sistema parasimpatico – antagonista.  Il primo si attiva in modalità di stress, il secondo si attiva per riportare il corpo ad uno stato di quiete. 
Il nervo vago nasce nel tronco encefalico e si dirama fino all’intestino toccando svariati organi: le orecchie, la laringe, la faringe, il cuore, i polmoni, lo stomaco, i reni, la milza, il fegato e l’intestino tenue, formando così il collegamento diretto cervello-stomaco. Il nervo vago è il nervo del rilassamento: la sua azione riporta il corpo da uno stato di allarme generato da stress, ad una modalità di tranquillità. 

Un nervo vago tonico è quindi fondamentale per poter passare da uno stato di stress ad uno stato di non-stress e viceversa, in maniera agile e armonica.
La pratica di Bhramarin pranayama è accessibile a tutti, anche ai bambini, praticabile al di là delle attività che uno segue e permette di raggiungere un buon risultato sin dalle prime volte. 

Secondo il testo medioevale dell’hatha-yoga pradîpikâ questa tecnica di respirazione riduce la rabbia e il rancore. Viene chiamato anche il respiro dell’ape felice, proprio per la sua capacità di portare calma e serenità, cosa che oggi possiamo dimostrare anche a livello fisiologico, scoprendo come la stimolazione del nervo vago attraverso la voce attivi l’antagonista degli stati infiammatori. 

Sempre affascinante è scoprire come chi ha elaborato le tecniche yogiche, sia arrivato a risultati spiegabili oggi scientificamente, seppure il punto di partenza sia di tipo esoterico, esperienziale e di “sola” osservazione.