Le applicazioni a cui si prestano yoga e meditazione sono molteplici, proprio per la loro natura intrinseca di “metodo” piuttosto che di pratica fine a sé stessa. Un metodo ideato e affinato nel tempo, nato grazie alla ricerca e all’applicazione di asceti indiani (dall’800 a.e.v. circa) determinati a capire ciò che sta all’origine della sofferenza in cui nasce e vive l’essere umano e a trovare una soluzione al continuo errare.
Quello che più mi affascina di queste discipline è proprio questa capacità di essere “metodo”, di mettere in contatto e di far convergere su un unico sentiero mondi tra loro distanti. Persone che non lo cercano consapevolmente, ma che lo scoprono spinte da una condizione di necessità, che sia la donna durante la gravidanza, il detenuto in carcere, un musicista che deve gestire la paura del palcoscenico, o un malato oncologico, ecco, questa possibilità di poter condividere il gioiello prezioso dello yoga che ha attraversato il tempo e lo spazio, è fonte inesauribile di scoperta e di crescita per chi lo pratica – e per chi lo trasmette.
È cosi che ho intervistato Sabrina Provasoli di Gallarate, insegnante yoga e socia YANI, per dare risonanza alla sua esperienza con i malati oncologici ai quali propone ogni settimana una sessione di yoga nidra. Read More
Dal 2022 Sabrina fa parte del gruppo di volontari che attraverso il progetto “Il dono della presenza” offre servizi completamente gratuiti pensati per pazienti oncologici. Gli ideatori del progetto sono Sibilla Vecchiarino, insegnante di yoga, e suo marito Massimo Mannarelli, e la spinta motrice è quella di voler accompagnare il cammino arduo dei malati oncologici e dei loro famigliari.
Un dono, nel vero senso della parola che non ha neppure avuto bisogno di prendere una forma giuridica come quella dell’associazione: non ci sono regole scritte, statuti e altre strutture burocratiche a cui rispondere, ma esiste solo un accordo verbale e una volontà comune: voler donare.
Com’è nata questa collaborazione? Sono stata coinvolta nel progetto da Sibilla sin dall’inizio. A oggi siamo una quarantina di volontari che offrono svariati corsi: attività di movimento come lo yoga dolce, rilassamenti guidati, uncinetto, acquarelli, qi-gong, emotional freedom technique, conferenze e incontri tenuti da medici, oncologi, nutrizionisti. E ancora: corsi di cucina e alimentazione, momenti di condivisione dove confrontarsi su dubbi, tipi di cure, e altro ancora. Circa quaranta lezioni a settimana, da lunedì a domenica, dalle 9.00 alle 21.00. Anche il 31 dicembre e il primo dell’anno ci sono stati degli incontri. Sibilla ci tiene molto che queste persone non vengano lasciate sole.
Sabrina, tu cosa porti in questo progetto? Il mercoledì sera, alle 18.30, da ormai tre anni, propongo ogni settimana una pratica di yoga nidra. Il mio corso, come tutti quelli del progetto, si svolge online, per far sì che le persone possano accedervi senza ostacoli. Che siano in ospedale attaccati alla flebo, o nella propria abitazione, o in viaggio, i pazienti e i loro cari possono collegarsi e condividere un momento che per loro vedo ha una grande importanza: quello di non essere lasciati soli nella malattia. Trovo molto bello che il progetto si rivolga anche ai famigliari, spesso dimenticati nella gestione delle proprie emozioni, della quotidianità, dei figli quando ci sono, con carichi pesanti sulle spalle. Inoltre tutto il materiale è registrato, sempre a disposizione sulla piattaforma che utilizziamo.
Cos’è e come si svolge lo yoga nidra? Lo yoga nidra è una tra le pratiche più richieste, è molto apprezzata. Siamo in tre a proporlo. Si tratta di una tecnica di rilassamento profondo tanto potente quanto semplice e adatta a tutti, capace di far emergere l’inconscio e di portare ad uno stato di raccoglimento i cui benefici sono immediatamente esperibili per tutti. Si entra nella pratica gradualmente, si prende consapevolezza del respiro, da una percezione rivolta principalmente verso l’esterno li conduco verso l’interno, per arrivare quindi all’immobilità. Ribadisco sempre di ascoltarsi: non posso pretendere che stiano immobili se hanno male da qualche parte. Si tratta di aprire un dialogo con il proprio corpo e quindi con il proprio sé. Viene chiesto loro di pensare a un desiderio, ciò che in sanscrito si chiama sankalpa, con intenzione, sincerità e consapevolezza: è un importante vettore che dà speranza e presenza. Infonde coraggio. Quindi passiamo alla rotazione della coscienza lungo tutto il corpo. Ci sono tanti aspetti di cui tenere conto: le visualizzazioni, i conteggi dei respiri, il sanklapa… Tutto ciò li porta in uno stato di grande concentrazione e di ascolto.
Non deve essere facile stare nel proprio corpo quando si ha un tumore. Sono donne coraggiosissime, trattandosi soprattutto di malate di tumore al seno. Non ho mai sentito nessuno lamentarsi. Si affidano e quando hai fiducia tutto diventa più semplice e stai bene. Mai nessuno ha interrotto la pratica. Anzi, dispiace quando si arriva alla conclusione e bisogna ritornare al quotidiano. Una donna una volta mi ha detto che è uscita prima dal lavoro per poter partecipare al nostro incontro. Mi ha anche detto: “voglio vedere le cose in maniera positiva. Sono malata è vero, ma ho voglia di prendermi cura di me, di fare cose che mi fanno stare bene.” Quando riusciamo a calmare la mente, i pesi che portiamo si alleggeriscono. L’individualità lascia spazio a qualcosa di più grande che ci fa stare bene. Sentiamo finalmente di far parte di un tutto.
Quante persone usufruiscono di questi servizi? Hanno già avuto modo di praticare yoga o meditazione in precedenza? Sono tanti. Ci sono 1250 persone. Devo dire che l’età è sempre più bassa, arrivano sempre più giovani. Di solito non hanno esperienza pregressa nello yoga. Quando tutto va bene, quando ci troviamo in quella che crediamo sia la normalità, magari non ci fermiamo a riflettere su certi aspetti e la crescita personale non sembra riguardarci. Poi con l’arrivo della malattia, arriva anche un bisogno improvviso di consapevolezza, di presenza, tanti nodi vengono al pettine. E lo yoga sicuramente aiuta a sviluppare una forte presenza in tutto questo navigare che è la vita.
Cosa succede a fine pratica? Se ci sono domande, ci si ferma a fine lezione, ma è più facile che prendano contatto in chat anche nei giorni a seguire. Tanti non si fanno vedere in video e io non ci penso neanche a chiedere di accendere la telecamera. Ci sono delle volte che sono stanca, dopo magari qualche giornata di lavoro pesante, avrei voglia anche di stare in silenzio, ma poi mi ricredo ogni volta. Mi sento fortunata. In realtà sono più io a ricevere un dono da loro perché vedere il loro coraggio mi è da esempio.
il calendario delle attività
Il dono della presenza: www.facebook.com/donodellapresenza www.instagram.com/il_dono_della_presenza/
Scivola, scivola vai via. Non te ne andare. Scivola, scivola vai via, via da me. Così canta Vinicio Capossela, gettandoci con la sua musica nell’atmosfera di una notte tenebrosa, fatta di fisarmonica, alcool e amore clandestino.
Sarebbe bello che anche lo stress, così come arriva, scivolasse poi via, via da noi. Se lo stress si presentasse giusto il tempo di fare ciò che dobbiamo, per farci agire al meglio, al momento più opportuno, e poi si dileguasse senza lasciare traccia, sarebbe perfetto.
Peccato che però così non è. Lo stress quando è frequente, diventa un compagno fedele che non va via anche quando non c’è più bisogno di lui. Ci è accanto quando siamo placidi a letto, in attesa di prendere sonno, o ancora peggio ci sveglia nel cuore della notte senza darci più pace.
Una vita fatta di stress
Perdere il sonno è seriamente dannoso, sia a breve termine ma anche a lungo termine creando terreno fertile per le malattie degenerative del cervello. Uno stato permanente di stress crea uno stato infiammatorio costante generando usura degli organi; influisce sulla digestione, sul senso di fame creando disequilibrio tra inappetenza e fame nervosa. Intacca le nostre relazioni, rendendoci suscettibili a reazioni eccessive o ad apatia. Ci strema con una stanchezza profonda difficile da contrastare e alla quale non riusciamo a reagire.
I tempi in cui viviamo sono affollati, gremiti di azione e caotici. Non c’è più una vera e propria distinzione tra tempo di lavoro e tempo libero, il diventare smart ci ha ingabbiati, tra iper-connessione, eccesso di informazioni, bulimia di immagini. Anche le relazioni spostandosi sul piano virtuale diventano faticose, oltre che deprimenti perché basate sull’esibizione di falso benessere.
Tutto ciò che è fuori da noi sembra così bello, perfetto, acclamato e a confronto la nostra realtà ci appare come sbiadita e poco interessante. Non di successo. Siamo sempre sotto processo giudicante del grande fratello e del nostro ego. Persino le discipline come lo yoga, la meditazione, il tai ki kung sono passate da pratiche introspettive, intime e di scoperta di sé, a show patinati e narcisistici. Impossibile sfuggire allo stress.
Tra le tecniche di rilassamento di cui disponiamo nello yoga, vi voglio parlare di una in particolare, ovvero Bhrāmarin prānāyāma, il prānāyāma dell’ape.
Come si pratica Bhrāmarin prānāyāma
Questa tecnica di respirazione si pratica nel seguente modo: La postura
Seduti su un supporto (cuscino, mattoncino, tappetino arrotolato) a gambe leggermente divaricate e flesse;
piante dei piedi al suolo, ginocchia orientate al soffitto;
la colonna ben allungata ed eretta. Se si fa fatica a tenere la schiena dritta, ci si pò appoggiare ad una parete;
Gomiti appoggiati sulle ginocchia,
indici appoggiati sul tappo delle orecchie in modo da premere leggermente e chiudere il condotto uditivo per creare un isolamento sonoro.
Svolgimento
Occhi chiusi, si inspira rapidamente, si espira lentamente dal naso, le labbra morbide che si sfiorano, senza stringere i denti, producendo un suono simile al ronzio dell’ape, piuttosto grave e non acuto. Il ronzio prodotto si propaga nel cranio, nel viso, nella gola, per tutta la durata dell’espirazione. Si attende qualche istante, quindi si inspira e di nuovo espirando si produce il ronzio dell’ape con le orecchie chiuse. Praticare per minimo 10 minuti.
esempio audio di un espirazione sonora, simulando il ronzio dell’ape
Una volta terminato, sdraiati in śavāsana (supina/o), occhi chiusi, e assapora ciò che emerge da quanto appena fatto. Non distrarti, rimani nell’osservazione delle sensazioni e del respiro.
Il nervo vago, come funziona?
Le vibrazioni che si producono nella gola, nelle corde vocali e nel cranio hanno un effetto concreto sull’attivazione del nervo vago.
Il nervo vago è il più grande nervo del sistema nervoso autonomo parasimpatico. Il sistema nervoso centrale è formato dal sistema simpatico – agonista – e il sistema parasimpatico – antagonista. Il primo si attiva in modalità di stress, il secondo si attiva per riportare il corpo ad uno stato di quiete. Il nervo vago nasce nel tronco encefalico e si dirama fino all’intestino toccando svariati organi: le orecchie, la laringe, la faringe, il cuore, i polmoni, lo stomaco, i reni, la milza, il fegato e l’intestino tenue, formando così il collegamento diretto cervello-stomaco. Il nervo vago è il nervo del rilassamento: la sua azione riporta il corpo da uno stato di allarme generato da stress, ad una modalità di tranquillità.
Un nervo vago tonico è quindi fondamentale per poter passare da uno stato di stress ad uno stato di non-stress e viceversa, in maniera agile e armonica. La pratica di Bhramarin pranayama è accessibile a tutti, anche ai bambini, praticabile al di là delle attività che uno segue e permette di raggiungere un buon risultato sin dalle prime volte.
Secondo il testo medioevale dell’hatha-yoga pradîpikâ questa tecnica di respirazione riduce la rabbia e il rancore. Viene chiamato anche il respiro dell’ape felice, proprio per la sua capacità di portare calma e serenità, cosa che oggi possiamo dimostrare anche a livello fisiologico, scoprendo come la stimolazione del nervo vago attraverso la voce attivi l’antagonista degli stati infiammatori.
Sempre affascinante è scoprire come chi ha elaborato le tecniche yogiche, sia arrivato a risultati spiegabili oggi scientificamente, seppure il punto di partenza sia di tipo esoterico, esperienziale e di “sola” osservazione.
Il rito è un insieme di azioni e gesti significativi e simbolici che vengono ripetuti secondo dinamiche precise e mancano di uno scopo funzionale diretto. Che sia in ambito religioso o pagano, che riguardi la preparazione di un tè o sia di buon auspicio per il superstizioso, di riti ne abbiamo a disposizione per tutti i gusti. Read More
La cultura, la filosofia e la teologia indiana si fondano profondamente nel rito. I riferimenti nei canti vedici sono dettagliati e precisi riguardo a riti ad alto livello di complessità. André Padoux, indianista tra i massimi specialisti europei del tantrismo, parla di iper-ritualismo riferendosi in particolare modo all’universo tantrico e per l’India l’essere umano è un ritualista: è per il fatto di compiere riti che egli si differenzia dalle altre creature viventi.
Il rito è potente di fatto, capace di unire ciò che si presenta disunito e per questo gli si conferisce poteri quasi magici, in grado di catturare anche chi si professa razionale e positivista. Il rito è uno strumento di cui tutti noi ci dotiamo a partire dal quotidiano. Se ad esempio abbiamo a che fare con neonati, così come con animali, dove lo scambio di informazioni non avviene sul piano verbale, la prima cosa che ci viene suggerita è proprio quella di creare una routine, una ripetizione, un rito appunto, che possa inserirsi tra noi e il nostro interlocutore affinché questo possa ricevere il messaggio che vogliamo trasmettergli. Come far capire ad un bambino che è ora di dormire? Creando un rito che preceda il sonno da ripetere ogni sera, questo diventerà in breve tempo un segnale che significa “ora si dorme”.
Ma perché questo succede? Perché una ripetizione di azioni, parole, immagini può assumere un potere tale da condizionare e veicolare il nostro pensiero e di conseguenza le nostre azioni?
Eseguire un rito, farne parte e viverlo ci fa entrare in una sorta di ritmo, una pulsazione che ci avvolge. Il rito che si svolge in un certo tempo e in determinato spazio è rigorosamente scandito da un ritmo che non appartiene a noi ma a qualcosa di più grande, oltre la nostra unità di misura. Nell’esecuzione del rito entriamo in un’altra dimensione, in un ritmo altro che dissolve la percezione limitata di noi stessi e ci fa appartenere ad un insieme più grande. Che sollievo, che leggerezza non dover sopportare, anche solo per la durata del rito, il peso del nostro essere. Un essere volubile e in continuo mutamento, così come il mondo in cui siamo calati, che trova stabilità nel rito immutabile, fermo e sempre uguale.
Il rito ci fa staccare dai vortici convulsi della mente, le responsabilità non sono di nostra competenza, ci affidiamo al rito come bambini nelle braccia della madre.
E in un tempo di pausa come quello estivo, dove tutto è dilatato e dove la routine quotidiana deve essere reinventata, vi propongo una serie di esercizi noti con il nome de “i cinque riti tibetani”. I benefeci che vengono loro attribuiti sono tanto innumerevoli quanto fantasmagorici, si parla di elisir di lunga vita e di eterna giovinezza. In un mondo in cui le promesse di miracoli fioccano più che al tempo di Giacobbe, lascerei da parte questo Eldorado, per valorizzare invece l’importanza di individuare un rito che ci illuda di trovare la stabilità di cui tanto bramiamo, ormai consci dell’instabilità che ci circonda, dentro e fuori di noi.
5 riti dunque, 3 ripetizioni per ciascuno rito, eventualmente da incrementare del numero di 2 se si ha tempo, voglia e necessità, fino a un massimo di 21 ripetizioni per ogni rito. Al mattino appena svegli, potrebbe essere una buona idea, ma se preferite trovare un altro momento sentitevi liberi di fare la scelta che più fa al caso vostro. Ma fatelo!
Di rito parliamo ancora se pensiamo alla luna e all’influenza che esercita sull’essere umano, da sempre. Se siamo contadini, giardinieri e coltivatori non possiamo non conoscere e seguire le fasi lunari per determinare come e quando agire. Se siamo piuttosto esoterici, aspettiamo la luna piena per regalare un bagno di luce alla nostra collezione di pietre, tesori preziosi e capaci di indirizzare ipotetiche energie a nostro beneficio. Se siamo in dolce attesa, verso il termine della gravidanza attendiamo la luna nuova per conoscere finalmente il nascituro. Se siamo Margherita Hack non facciamo nulla di tutto questo e pensiamo che la luna non c’entri proprio niente con la semina o la raccolta, con il parto e tanto meno con la ricarica energetica della nostra collezione di minerali. Read More
Voi da che parte state? Guardando alla luna vi calate nei panni dei saggi che si affidano alla sapienza antica o siete scettici in cerca di evidenze scientifiche come Margherita Hack?
La letteratura sulla luna e sulla sua influenza nella nostra vita è smisurata: dagli almanacchi a frate indovino, si fanno previsioni meteo annuali (!), si decide come disciplinare la terra e le piante, quando tagliare i capelli e quando andare dal dentista. Bella è l’idea che si possa fare affidamento alla luna per operare scelte e decisioni. Delegare la responsabilità di buona riuscita all’apogeo e al perigeo. Bello fare affidamento ad un sapere che sa di antico e di conseguenza si fregia di verità con la V maiuscola. Ma siccome la nostra forma mentis è solita basarsi sull’evidenza scientifica, della prova del nove, vi invito a guardare il breve video (durata 4’22”) qui sotto. La delusione è alle porte.
Ci ho pensato a lungo, mi dispiaceva abbandonare l’idea di una luna capace di intervenire sul nostro quotidiano, ma adorando anche il brusco fare della scienziata toscana, mi sembrava di voler credere alle favole. Io, la luna e le credenze popolari, roba da medioevo. Poi è successo che ho seguito lo stesso il ritmo lunare per potare le piante di casa e per fare l’henné , con l’idea che se tanto non è vero che la luna eserciti una qualche influenza sul nostro fare, è anche vero che non può esserci nulla di male ad agire in certi giorni piuttosto che in altri. In fondo non dovrebbe fare differenza. Ma la differenza invece esiste: e sta nel ritmo e nel rito. Coordinarsi con la luna è sintonizzarsi su un ritmo universale, che alterna la luce al buio, la presenza all’assenza, e di cui facciamo parte anche se spesso ce ne dimentichiamo. Entrare in un respiro più grande del nostro fa sentire bene. E allora evviva la Luna e Margherita Hack che da scienziata ci ricorda di non farci fregare.
Qui di seguito un primo elenco di testi per chi avesse voglia di approfondire o semplicemente soddisfare la curiosità che in maniera spontanea emerge praticando Yoga. Buona lettura.
Un testo classico sulle tecniche di respirazione scritto da André Van Lysebeth, pubblicato nel 1971, che tratta al tempo stesso la teoria e la pratica del pr?n?y?ma.
[…]Dobbiamo tener conto di quanto precede nel nostro comportamento quotidiano; sarebbe un grave errore disconoscerlo. Il pr?n?y?ma ci dà le tecniche psicofisiologiche necessarie al controllo e all’utilizzazione cosciente di queste energia per nostra fioritura fisica e psichica. […]
Mariano Sigman, divulgatore scientifico, con questo libro prende per mano il lettore e lo conduce nell’interessante mondo delle scienze cognitive, con chiarezza e semplicità anche sugli argomenti più complessi.
[…]Mi piace pensare alla scienza come a una nave che ci conduce in luoghi sconosciuti, negli angoli più remoti dell’universo, nelle viscere della luce e nelle più infinitesime molecole della vita. Quella nave possiede strumenti, telescopi e microscopi, che rendono visibile ciò che prima era invisibile. […]
[…]Uno dei maggiori problemi nello studio della coscienza e degli stati di coscienza alterati è costituito da un pregiudizio implicito che tende a farci deformare ogni tipo di informazione circa gli stati di coscienza.[…]
Il monaco vietnamita, scomparso il 22 gennaio 2022, anche attraverso i suoi testi continua a trasmettere l’importanza fondamentale di meravigliarsi e per far sì che questa succeda, la presenza mentale e la continua osservazione del momento presente sono le porte di accesso ad uno stato di gioia. Anche e soprattutto nei momenti dove la gioia sembra essere la cosa più lontana da noi.
[…]Come trasformare ogni atto della vita quotidiana, dal lavare i piatti al bere una tazza di tè, in un’esperienza gioiosa, totale e illuminante. […]
Dialettica tra Occidente e Oriente. Per trovare punti di contatto tra la nostra cultura e il pensiero dello yoga.
[…] Il seguente dialogo tra lo psicoanalista e il maestro di yoga intende presentare lo yoga autentico così come è stato descritto in modo conciso negli Yogas?tra e la psicoanalisi come viene praticata oggi, seguendo la sua tradizione terapeutica e la sua ricerca. […]
Esiste uno yoga originale e autentico così come oggi rivendicano le orde di maestri e psuedo guru che popolano palestre e centri yoga in tutto il mondo? Lo yoga che pratichiamo è fedele alla tecnica così come descritta nel testo di riferimento Yogas?tra? Esiste un solo Yoga? Il libro è una sorta di Virgilio che ci aiuta a contestualizzare un fenomeno, quello dello yoga, oggi più che mai presente in tutto il mondo. Sir James Mallinson è docente di Sanscrito e di Civiltà classica indiana presso la School of Orientai and African Studies (SOAS), Università di Londra. Mark Singleton è un istruttore di yoga qualificato nelle dottrine di Iyengar e Satyananda.
Inspiro ed espiro dal naso, se possibile. Questo è l’invito che viene fatto ai praticanti di yoga i quali, un po’ disorientati, spesso chiedono conferma: “Anche per l’espirazione?” La risposta è: sì, anche all’espirazione.
L’idea, comune a tanti, è che durante le attività sportive l’espirazione dalla bocca sia associata ad una maggiore efficacia in termini di ricambio di aria e, in generale, dell’esercizio stesso. Ma non è esattamente così che funziona. A meno che non ci sia necessità di espellere una grande quantità di aria in poco tempo, respirare dal naso è decisamente meglio, anche durante le attività intense.
Eccone alcuni tra i principali motivi del perché respirare dal naso:
il respiro passa da una sorta di filtro che ne regola la temperatura e trattiene le macromolecole che verranno espulse con l’espirazione successiva;
aiuta a mantenere il ritmo cardiaco costante e tendente al basso, limitando l’affanno, anche nelle attività a intenso ritmo come la corsa o di intenso sforzo muscolare;
respirare con la bocca inevitabilmente comporta iperventilazione;
allenare all’inspirazione ed espirazione dal naso durante tutte le attività sportive migliora notevolmente la capacità respiratoria;
gli effetti della respirazione dal naso sono direttamente riscontrabili sul piano emotivo e psichico: hanno il potere di calmare la mente e placare lo stress.
Su quest’ultimo punto è interessante dedicare un approfondimento.
Nel 2019, al convegno annuale della Associazione nazionale insegnanti yoga (Y.A.N.I.) il cui tema era “Meditazione (sullo) Yoga”, tra i relatori figurava Angelo Gemignani, professore ordinario presso il Dipartimento di Patologia Chirurgica, Medica, Molecolare e dell’Area Critica, ricercatore associato presso l’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR di Pisa e ricercatore affiliato all’Istituto di Scienze della Vita, Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.
Se da una parte l’antica tecnica millenaria di evoluzione dell’essere umano chiamata yoga ci conduce in maniera intuitiva ed esperienziale a provare una serie di sensazioni tra cui benessere e calma, dall’altra oggi abbiamo strumenti per poter verificare e misurare ciò che avvertiamo a livello sensoriale, in coerenza con un approccio occidentale e razionale – quale è il nostro background.
Nel suo intervento, il professore Gemignani ha illustrato le ricerche svolte dal suo team sulla meditazione e i suoi effetti sul cervello dal punto di vista clinico. Qui sotto potete trovare la pubblicazione sulla rivista scientifica Nature del 2017 della ricerca.
La meditazione è un fenomeno attivo e tra i benefici che apporta, c’è quello della riduzione dello stress. Riduzione misurabile attraverso l’analisi e la raccolta di dati che il professor Gemignani ha ottenuto e confrontato su diversi campioni esaminati, da una parte esperti, come dei monaci buddisti, e dall’altra dei principianti che di pranayama, tecniche respiratorie di controllo del respiro, non ne sapevano nulla.
I risultati parlano chiaro: la meditazione impatta direttamente sul cervello, riduce la produzione di cortisolo, di adrenalina, dei radicali ossidativi e l’attività infiammatoria, tutti agenti generati dallo stress.
Il ruolo del respiro in tutto ciò è determinante perché con i suoi esperimenti il professor Gemignani dimostra che la gestione dello stress e dei suoi effetti non parte dal cervello ma bensì dal corpo.
Tecnicamente succede che la frequenza dell’aria che entra dal naso è uguale alla frequenza generata nel bulbo olfattivo. Quest’ultimo trasmette impulsi elettro-chimici sulle cortecce del cervello generando una sincronizzazione delle attività celebrale sulla base della frequenza dell’aria che entra nel naso. Si attivano circuiterie legate alla sfera emotiva, andando ad influenzare l’attività dell’amigdala, dell’ippocampo, della regione insula che reagisce agli stimoli provenienti dal corpo. Se respiriamo dalla bocca questa sincronizzazione non ha luogo.
Il respiro diventa quindi un potente strumento per coordinare le frequenze elettromagnetiche del cervello: uno strumento che, se correttamente usato, diventa fondamentale nel processo di acquisizione della consapevolezza e di intervento attivo sul nostro quotidiano.
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