I 5 riti tibetani
Il rito è una possibilità.
Il rito è un insieme di azioni e gesti significativi e simbolici che vengono ripetuti secondo dinamiche precise e mancano di uno scopo funzionale diretto. Che sia in ambito religioso o pagano, che riguardi la preparazione di un tè o sia di buon auspicio per il superstizioso, di riti ne abbiamo a disposizione per tutti i gusti. Read More
La cultura, la filosofia e la teologia indiana si fondano profondamente nel rito. I riferimenti nei canti vedici sono dettagliati e precisi riguardo a riti ad alto livello di complessità. André Padoux, indianista tra i massimi specialisti europei del tantrismo, parla di iper-ritualismo riferendosi in particolare modo all’universo tantrico e per l’India l’essere umano è un ritualista: è per il fatto di compiere riti che egli si differenzia dalle altre creature viventi.
Il rito è potente di fatto, capace di unire ciò che si presenta disunito e per questo gli si conferisce poteri quasi magici, in grado di catturare anche chi si professa razionale e positivista. Il rito è uno strumento di cui tutti noi ci dotiamo a partire dal quotidiano. Se ad esempio abbiamo a che fare con neonati, così come con animali, dove lo scambio di informazioni non avviene sul piano verbale, la prima cosa che ci viene suggerita è proprio quella di creare una routine, una ripetizione, un rito appunto, che possa inserirsi tra noi e il nostro interlocutore affinché questo possa ricevere il messaggio che vogliamo trasmettergli.
Come far capire ad un bambino che è ora di dormire? Creando un rito che preceda il sonno da ripetere ogni sera, questo diventerà in breve tempo un segnale che significa “ora si dorme”.
Ma perché questo succede? Perché una ripetizione di azioni, parole, immagini può assumere un potere tale da condizionare e veicolare il nostro pensiero e di conseguenza le nostre azioni?
Eseguire un rito, farne parte e viverlo ci fa entrare in una sorta di ritmo, una pulsazione che ci avvolge. Il rito che si svolge in un certo tempo e in determinato spazio è rigorosamente scandito da un ritmo che non appartiene a noi ma a qualcosa di più grande, oltre la nostra unità di misura. Nell’esecuzione del rito entriamo in un’altra dimensione, in un ritmo altro che dissolve la percezione limitata di noi stessi e ci fa appartenere ad un insieme più grande. Che sollievo, che leggerezza non dover sopportare, anche solo per la durata del rito, il peso del nostro essere. Un essere volubile e in continuo mutamento, così come il mondo in cui siamo calati, che trova stabilità nel rito immutabile, fermo e sempre uguale.
Il rito ci fa staccare dai vortici convulsi della mente, le responsabilità non sono di nostra competenza, ci affidiamo al rito come bambini nelle braccia della madre.
E in un tempo di pausa come quello estivo, dove tutto è dilatato e dove la routine quotidiana deve essere reinventata, vi propongo una serie di esercizi noti con il nome de “i cinque riti tibetani”. I benefeci che vengono loro attribuiti sono tanto innumerevoli quanto fantasmagorici, si parla di elisir di lunga vita e di eterna giovinezza. In un mondo in cui le promesse di miracoli fioccano più che al tempo di Giacobbe, lascerei da parte questo Eldorado, per valorizzare invece l’importanza di individuare un rito che ci illuda di trovare la stabilità di cui tanto bramiamo, ormai consci dell’instabilità che ci circonda, dentro e fuori di noi.
5 riti dunque, 3 ripetizioni per ciascuno rito, eventualmente da incrementare del numero di 2 se si ha tempo, voglia e necessità, fino a un massimo di 21 ripetizioni per ogni rito. Al mattino appena svegli, potrebbe essere una buona idea, ma se preferite trovare un altro momento sentitevi liberi di fare la scelta che più fa al caso vostro. Ma fatelo!
Spero l’algoritmo sia chiaro.